I dispositivi odierni dell’economia e della tecnica promettono molto. Propagandano il reale, tutta la sua opulenza e il suo multiforme splendore, in cambio di niente. Ce lo fanno apparire, in un simulacro convertito in immagine, incondizionatamente nostro. La realtà senza mediazioni pare correrci incontro, ci illude di accoglierci a braccia aperte e di lasciarsi sciupare. Con tale maschera, un totalitarismo democratico, che non ammette repliche, ci mette invece in ginocchio e ci condanna alla pena del più servile e inestinguibile consumismo.
Che ci resta alla fine? Nel migliore dei casi l'aspirapolvere, la radio, la lavatrice, il frigorifero, l'auto: la banalità come destino, la parodia del quotidiano, pagate a prezzo della nullità del pensiero, della paura nel cuore.
A chi si volge invece verso la bellezza, un dio segreto dispensa veri doni. Una ricchezza talmente fertile da non poter essere neppure raccontata. Cosa possiamo mai dire, infatti, della bellezza? Il suo fondamento sta in qualcosa che non si comunica. Lingua che si parla da sola. Strada sbarrata alla comprensione perché non ne ha bisogno. Nocciolo intransitivo che non si scalfisce. Chi vi si dedica, come un clandestino sulla nave, trova rischio e avventura. Ma qual è la meta del viaggio? Non un richiamo nostalgico, non una speranza, nemmeno una complicità.
(Antonio Capaccio)